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A livello globale il numero di Convenzioni fiscali relative alla doppia imposizione sulle successioni e donazioni transnazionali risulta limitato nonostante la frequenza del fenomeno: l’Italia ha concluso solo sette trattati in materia di imposta di successione con Stati Uniti, Svezia, Grecia, Regno Unito, Danimarca, Israele e Francia.

Per quanto riguarda l’ambito territoriale di applicazione dell’imposta di successione e donazione, il Dlgs. n. 346 del 1990 prevede che siano soggetti a tassazione tutti i beni trasferiti, compresi quelli situati all’estero, nel caso in cui il de cuius/donante sia residente in Italia al momento del decesso/della donazione (indipendentemente dalla cittadinanza), limitando invece l’imposta ai beni esistenti in Italia, nel caso in cui il dante causa risieda all’estero. È irrilevante la residenza del beneficiario della successione/donazione.

La combinazione di tali criteri di territorialità con quelli previsti dagli ordinamenti esteri può portare a casi di doppia imposizione quando lo Stato estero:

  • nel quale è situato il bene oggetto di successione/donazione applichi il principio della lex rei sitae (es. Regno Unito) oppure
  • preveda una tassazione su base mondiale qualora l’erede/donatario sia residente in tale paese estero (es. Francia e Germania).

In assenza di un trattato, l’eventuale doppia imposizione può essere risolta attraverso il credito d’imposta “domestico” previsto dall’art. 26 comma 1 lett. b) del Dlgs. n. 346 del 1990 secondo cui dall’ammontare del tributo successorio devono essere detratte “le imposte pagate ad uno Stato estero, in dipendenza della stessa successione proporzionale al valore dei beni stessi, salva l’applicazione di trattati o accordi internazionali”.

Di seguito alcuni esempi esplicativi di tali meccanismi:

  • de cuius residente in Italia nel cui patrimonio oggetto di successione rientrano beni situati in Germania e in Italia e di un erede residente in Germania: secondo la normativa tedesca il tributo successorio si applica su base mondiale in virtù della residenza dell’erede, venendosi quindi a creare una doppia imposizione su tutti i beni oggetto di successione: in virtù del meccanismo del credito di imposta previsto dal Dlgs. n. 346 del 1990 l’Italia riconosce un credito per le imposte tedesche versate unicamente sui beni situati in Germania, con la conseguenza che la doppia imposizione è risolta unicamente per i beni situati in Germania e non anche su quelli siti in Italia;
  • de cuius residente in Italia ma anche nello Stato estero A in base alla locale disciplina successoria: entrambi gli Stati (Italia e Stato A) applicano l’imposta di successione su base mondiale e nel patrimonio del de cuius è incluso anche un bene sito in un secondo Stato estero (Stato B), oggetto di doppia imposizione sia in Italia che nello Stato A: l’Italia non riconosce il credito per le imposte assolte nello Stato A perché il bene risulta localizzato nello Stato B.

Nel caso in cui esista un trattato si potrà fare riferimento alle disposizioni ivi contenute al fine di risolvere fattispecie di doppia imposizione; ad esempio le seguenti fattispecie:

  • de cuius residente in Italia nel cui patrimonio oggetto di successione rientra un immobile sito nel Regno Unito; in applicazione delle normative italiana e inglese, l’immobile è assoggettato a tassazione in entrambi gli Stati; per contrastare il fenomeno della doppia imposizione, l’articolo VI del trattato concluso tra Italia e Regno Unito prevede che “quando un Paese contraente applica l’imposta su beni non situati nel suo territorio, ma in quello dell’altro Paese contraente, il primo Stato concede sull’ammontare della propria imposta riferibile a tali beni un credito uguale all’ammontare dell’imposta applicata nel territorio dell’altro Stato contraente riferibile a tali beni (senza superare l’ammontare dell’imposta così applicabile), pertanto l’Italia accorda un credito per le imposte pagate nel Regno Unito sull’immobile ivi situato;
  • de cuius cittadino e residente italiano, nel cui patrimonio oggetto di successione rientrano beni esistenti in Italia e negli Stati Uniti: l’art. IV del trattato prevede che, in tale fattispecie, gli Stati Uniti debbano accordare la stessa franchigia d’imposta prevista dalla legislazione interna ad un de cuius domiciliato negli USA, moltiplicata per un pro-rata, cioè una frazione al cui numeratore si indica il valore dei beni effettivamente soggetti ad un’imposta negli USA, mentre al denominatore il valore dei beni che sarebbero assoggettati ad imposta negli USA se il de cuius fosse ivi domiciliato; una volta determinata in tal modo la franchigia accordata e l’imposta statunitense, l’Italia, ai sensi dell’art. V del trattato riconosce un credito di imposta pari all’ammontare dell’imposta statunitense applicata in relazione ai beni situati in USA e soggetti a tassazione da entrambi gli Stati. Il credito non può eccedere la quota dell’imposta applicata dall’Italia e attribuibile ai beni statunitensi, tassati in entrambi i Paesi.