La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1132/2019 torna a pronunciarsi sulle conseguenze dell’acquisto di beni in sospensione d’imposta in misura superiore al plafond disponibile.
La legge consente agli esportatori abituali di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’IVA in modo da evitare che si trovino cronicamente a credito dell’imposta detraibile; tale beneficio è subordinato all’invio al cedente o prestatore della dichiarazione d’intenti e al rispetto del limite quantitativo costituito dal c.d. plafond. Il superamento del limite legittima l’accertamento da parte dell’Erario in capo all’esportatore abituale, rispetto all’imposta relativa agli acquisti e il versamento della sanzione dal 100% al 200% dell’imposta.
Tutto ciò può essere evitato regolarizzando le operazioni che hanno portato allo splafonamento, attraverso le procedure indicate dall’Amministrazione finanziaria: chiedendo al cedente o prestatore l’emissione di una nota di variazione in aumento ex art. 26 del DPR n. 633/1972 con pagamento all’Erario di interessi e sanzioni e detrazione dell’imposta addebitata; oppure con l’emissione di un’autofattura, il versamento dell’imposta e delle sanzioni e l’esercizio della detrazione; infine con emissione dell’autofattura e assolvimento della stessa in sede di liquidazione periodica, purché entro l’anno in cui sia stata commessa la violazione.
Tali citati meccanismi consentono il rispetto del principio di neutralità, atteso che, ferme restando le sanzioni connesse all’illecito, il soggetto passivo non rimane inciso dall’imposta, che è portata in detrazione. Di tale principio si parla nel caso di specie affrontato dalla Corte di Cassazione, in quanto il contribuente esportatore abituale non pone in discussione l’avvenuto splafonamento, ma sostiene che siccome le operazioni in acquisto, oggetto di accertamento, erano reali e avevano dato luogo a cessioni imponibili in uscita, la detrazione non avrebbe potuto essere negata, pena appunto la violazione del richiamato principio di neutralità.
Tuttavia i giudici di legittimità, accogliendo il ricorso dell’Agenzia, osservano che il comportamento del contribuente è consistito nell’indebita disapplicazione dell’imposta in operazioni che avrebbero dovuto invece esservi assoggettate e nel suo conseguente mancato pagamento. La violazione, di carattere sostanziale, esclude l’applicabilità del principio di neutralità, il quale impone il riconoscimento della detraibilità dell’IVA a monte, onde evitare che il soggetto passivo ne rimanga inciso, “qualora gli obblighi sostanziali siano soddisfatti, anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi”.
In una situazione del genere il soggetto passivo accertato può comunque, a seguito del pagamento in via definitiva dell’imposta accertata, degli interessi e delle sanzioni, operare la detrazione dell’imposta in applicazione dell’art. 60, comma 7 del DPR n. 633/1972, al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui lo stesso ha provveduto al pagamento di imposta, interessi e sanzioni.