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Recenti sentenze di Commissioni tributarie, relative a terreni oggetto di rivalutazione e successiva vendita ad un prezzo inferiore, sono state in gran parte favorevoli ai contribuenti respingendo la tesi dell’Amministrazione finanziaria.

L’Agenzia delle Entrate ha emanato la Circolare 1 del 15 febbraio 2013 per fornire una soluzione che appare però tuttora discutibile. In particolare, tale soluzione prevedeva che:

  • fosse indicato nell’atto di vendita sia il corrispettivo sia il maggior valore di perizia;
  • il venditore non perdesse i benefici della rivalutazione (fermo restando la doppia indicazione di cui sopra) e non realizzasse alcuna plusvalenza essendo il primo termine inferiore al secondo;
  • le imposte di registro, ipotecaria e catastale, a carico dell’acquirente, venissero liquidate sul maggior valore di perizia.

In alternativa a tale ultimo punto, il contribuente avrebbe dovuto far redigere una nuova perizia, al ribasso (Circolari 20/2016 e 47/E/2011) mediante la quale, però, non avrebbe avuto diritto ad alcun rimborso di quanto già precedentemente versato.

Successivamente, l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria è stato poi confermato con la Risoluzione 53/2015. Con le successive sentenze della Cassazione, infine, si è assistito a orientamenti favorevoli all’Agenzia delle Entrate nonché ad altrettanti orientamenti a favore dei contribuenti; le recenti sentenze di Commissioni tributarie poi – tra le ultime si citano la Ctr di Venezia 427 del 29 marzo 2017 e la Ctr Lazio 3119/2017 – rivelatesi in gran parte a favore dei contribuenti, fanno auspicare ad una sentenza delle Sezioni unite che confermi che, in caso di vendita a prezzi inferiori a quanto oggetto di affrancamento, nulla è dovuto.