tel. 049.8763120 - fax. 049.8752942 segreteria@zagarese.net

Dopo la sentenza n.1545/2017 della Corte di Cassazione che esclude di disciplinare i rapporti tra società e amministratore tramite contratto, si pone il problema di quali strumenti giuridici utilizzare.

La recente pronuncia della Corte di Cassazione, a sezioni unite, n.1545/2017, ha aperto una serie di interrogativi in merito alla possibilità di utilizzare gli strumenti contrattuali per regolare i rapporti tra la società e i suoi consiglieri di amministrazione.

Prima della sentenza, l’assenza di una specifica disposizione legislativa in materia, era stata colmata dalla giurisprudenza di legittimità con la qualificazione del rapporto nei termini un’attività “continua, coordinata e prevalentemente personale” con conseguente assoggettamento delle controversie al rito del lavoro (articolo 409, codice di procedura civile). In questo modo il rapporto tra amministratore e società era ricondotto all’ambito del lavoro, cosiddetto “parasubordinato”.

Ora con la sentenza n. 1545/2017, la Corte di Cassazione cambia il proprio orientamento ed afferma che tra amministratore e società intercorre solamente “un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dall’articolo 409 del codice di procedura civile”. In pratica, la sentenza in esame, stabilisce che il rapporto dell’amministratore con la società non è assimilabile né a quello di un lavoratore subordinato o parasubordinato, né a quello di un prestatore d’opera autonomo, e come tale non può essere definito da un contratto.

A questo punto si pone il problema di individuare gli strumenti con cui definire, in via pattizia, lo svolgimento e la cessazione della carica di amministratore.

Al riguardo non sembra in discussione la possibilità di definire il rapporto tra la società e l’amministratore mediante un contratto di service agreement. Tale accordo, sia pur indirettamente tutela il manager, in quanto la società è tenuta a rispondere dell’eventuale mancato rispetto degli impegni assunti in proprio con la stipulazione del service agreement.

Un ulteriore ambito in cui rimane indubbia l’utilità di adottare strumenti contrattuali e che sembra esulare dal disposto della suprema Corte è la fattispecie in cui al manager, titolare di un rapporto di lavoro dirigenziale, sia affidata la responsabilità e il compito di amministrare una diversa società del gruppo (ad esempio una società partecipata e/o controllata); in tal caso l’attività gestoria si qualifica come oggetto di un contratto di lavoro subordinato.