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La Cassazione, con la sentenza n. 53832 della Sesta sezione penale, depositata il 29 novembre 2017, ha chiarito che anche i soci di società possono essere condannati per indebita restituzione dei conferimenti.

La vicenda trae origine da un ricorso presentato dai soci di una società calcistica contro il sequestro preventivo di svariate somme di denaro. A supporto veniva sottolineato che la persona nei confronti della quale era stata disposta la misura cautelare non aveva alcuna carica all’interno della società, ma in realtà era solo socio della stessa. Tra i motivi dell’impugnazione, inoltre, aveva trovato posto la contestazione della qualifica soggettiva richiesta dal reato, disciplinato dall’articolo 2626 del Codice civile.

La replica della Cassazione evidenziava che la fattispecie di indebita restituzione dei conferimenti è un reato proprio che può essere commesso solo dagli amministratori in quanto sono gli stessi amministratori i titolari dell’obbligo di garanzia sull’integrità del capitale sociale. Così facendo, quindi, si è inteso non punire il socio beneficiario della restituzione del conferimento o della liberazione dall’obbligo di eseguire lo stesso.

Tuttavia, tale esclusione non ha come conseguenza l’impossibilità di contestare l’eventuale concorso nell’ipotesi in cui il socio “abbia tenuto una condotta diversa ed ulteriore rispetto a quella tipizzata e non sottoposta a pena e che si risolva in un contributo di partecipazione atipico rispetto alla condotta dichiarata punibile”.

Nel caso specifico, al fine di evitare una grave perdita, era stata effettuata una ricapitalizzazione della società. Le somme utilizzate ai fini della ricapitalizzazione erano poi state recuperate tramite la restituzione dei conferimenti, disposta dall’amministratore, familiare del socio. Tale operazione, nello specifico la contestualità tra l’esecuzione dell’aumento di capitale e lo storno delle somme attraverso le quali l’operazione era stata realizzata, aveva portato i giudici di merito a ritenere esistente il concorso del socio nella commissione del reato. In tale contesto, infatti, la Cassazione aveva contestato che il socio non solo aveva tratto vantaggio dalla restituzione bensì aveva anche fornito un contributo effettivo di volontà “qualificabile in termini di determinazione, istigazione o rafforzamento del proposito criminoso dei titolare dei poteri di gestione”.