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La Corte di cassazione si è recentemente espressa modificando un orientamento rimasto immutato per anni circa la riqualificazione della vendita totalitaria di quote societarie.

La sentenza n. 11877/2017 è intervenuta con riferimento alla vendita, da parte di due soci persone fisiche, della totalità delle quote di partecipazione in una S.r.l..

L’orientamento espresso determina lo stravolgimento del trattamento ai fini dell’imposta di registro degli atti di vendita delle partecipazioni sociali; è opportuno segnalare, però, come tale pronuncia si ponga in forte contrasto sia con l’ordinamento interno, in particolare con la prevalente interpretazione giurisprudenziale dell’art. 20 del T.U.R. , sia con il diritto comunitario e, in particolare, con la Direttiva concernente le imposte indirette sulla raccolta di capitali e con la Direttiva IVA.

Nello specifico, la sentenza oggetto di trattazione si aggiunge a tre precedenti pronunce tendenti ad avallare la pretesa avanzata da alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate sulla scorta della interpretazione dell’art. 20 del D.P.R. n. 131/1986 mirata a qualificare quale atto di vendita dell’azienda, assoggettato ad imposta proporzionale, l’atto di vendita della totalità delle partecipazioni del capitale di una società, assoggettato invece a imposta di registro in misura fissa.

In realtà, proprio il già citato art. 20 del T.U.R. parrebbe in totale contrasto con l’interpretazione fornita dall’Amministrazione finanziaria. Infatti, è proprio la giurisprudenza della medesima Suprema Corte, nel tempo consolidatasi, che definisce la norma quale norma di interpretazione e  qualificazione dei contratti sottoposti a registrazione, la quale impone di attribuire rilievo agli effetti giuridici prodotti dagli atti in oggetto, dando preminente rilievo alla causa reale/concreta effettivamente perseguita dai contraenti (si vedano, ad esempio, Cass. N. 18467/2016 e Id. n. 10216/2016).

Per tale motivo, la pretesa iniziale appare illegittima in quanto la vendita della partecipazione totalitaria, detenuta in una società, non determina un effetto giuridico analogo alla vendita dell’azienda in quanto la titolarità di una partecipazione totalitaria in una società (bene di “secondo grado”) non consente di vantare alcun diritto sull’azienda (bene di “primo grado”).

Di conseguenza, la recente sentenza desta particolare sconcerto in quanto, in più occasioni, era stato affermato che: “il trasferimento da un soggetto all’altro di una quota di partecipazione non è mai qualificabile come trasferimento della proprietà o del godimento di un’azienda” (Cass., sent. N. 16030/2010).