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Con due recenti sentenze, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia sancisce che l’ufficio deve svolgere approfondite analisi economiche a supporto delle proprie tesi.

Nelle contestazioni di transfer pricing l’Agenzia delle Entrate deve svolgere approfondite analisi economiche secondo i principi Ocse a supporto delle proprie tesi. I rilievi non adeguatamente motivati, talvolta, basati sul cosiddetto cherry picking dei comparabili (procedura volta alla selezione dei soggetti comparabili più favorevoli al Fisco) devono pertanto essere rigettati.

A ribadirlo sono due recenti sentenze della Commissione tributaria regionale Lombardia, la sentenza n. 4280 del 19 luglio 2016 e la n. 3813 del 27 giugno 2016. Tali sentenze ribadiscono l’importanza delle analisi di comparabilità nelle valutazioni sui prezzi di trasferimento.

La prima sentenza (n. 4280 del 19 luglio) nasce da una contestazione sulle cessioni di beni da parte di una società italiana nei confronti della proprie consociate tedesche avvenute, secondo l’Agenzia delle Entrate, ad un prezzo superiore a quello di mercato. L’ufficio pertanto provvedeva a rettificare il prezzo di vendita praticato alle consociate utilizzando il metodo del Cup (Comparable Uncontrolled Price).

I giudici hanno evidenziato, citando sia le linee guida Ocse che la circolare 32/1980, che le analisi di comparabilità devono tener conto di vari aspetti, tra i quali natura e qualità del prodotto, caratteristiche del mercato, trasporto, imballaggio, pubblicità, garanzie, resi, spese doganali e rischio di cambio. A cui va aggiunta l’analisi funzionale.

I giudici rigettavano nel caso in questione la pretesa del Fisco, il quale nell’analisi di comparabilità aveva preso in considerazione solo le spese di trasporto e le quantità cedute, senza esaminare i mercati e le funzioni svolte dalla società.  Il contribuente, al contrario, aveva prodotto analisi da cui si evinceva chiaramente che la società svolgeva attività di marketing, assumendone i rischi connessi, sole nei confronti dei terzi.

La seconda sentenza (n. 3813 del 27 giugno) nasce invece da una contestazione sul tasso di un’operazione di finanziamento intra-gruppo. Il contribuente aveva ricevuto due finanziamenti da una società controllata del gruppo anch’essa residente in Italia, che a sua volta si finanziava presso una consociata residente in Lussemburgo. Il tasso applicato dalla controllata italiana era pari al tasso sul finanziamento ricevuto dalla società lussemburghese più uno spread, che l’Agenzia delle Entrate contestava non ritenendolo in linea con il principio del valore normale.

I giudici lombardi con la sentenza in esame rigettano le richieste dell’Amministrazione finanziaria, ribadendo il principio secondo il quale non è il contribuente che deve giustificare le proprie scelte operative, ma è l’ufficio che deve fornire la prova della mancata rispondenza delle transazioni intra-gruppo con le pratiche di libero mercato.

I giudici, infine, osservano che la transazione era posta in essere tra due società italiane e, dunque, non poteva essere contestata in base all’articolo 110, comma 7, del D.P.R. n. 917/86.