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I PVC emessi dall’A. F., relativi al 2011, consegnati da novembre a dicembre 2016, non rispettano il termine di 60 giorni previsto nello Statuto del contribuente per la difesa del contribuente.

I verbali consegnati dal 2 novembre 2016 per contestazioni relative al periodo d’imposta 2011, rischiano di determinare atti impositivi nulli, se non motivati da specifici motivi di urgenza.

A questo riguardo va rilevato che per consolidata giurisprudenza non rappresenta una causa di urgenza l’imminente scadenza del termine di accertamento (Cassazione 7598/2016 e 16602/2015).

L’Agenzia delle Entrate deve attendere 60 giorni per la notifica degli accertamenti che a questo punto scadrebbero oltre il 31 dicembre 2016 con la conseguente decadenza del potere impositivo per l’anno 2011.

A stabilirlo è l’articolo 12, comma 7, della Legge 212/2000, il quale fissa un termine minimo (60 giorni appunto) che l’ufficio deve attendere prima di emettere l’atto impositivo in modo da consentire al contribuente di presentare eventuali memorie difensive.

Per concedere questa possibilità i Processi verbali di contestazione dovevano essere consegnati al massimo entro il 31 ottobre in modo da poter emettere e notificare l’eventuale accertamento il 31 dicembre (ultimo giorno utile per rettificare il periodo d’imposta 2011).

La giurisprudenza di legittimità intervenuta ripetutamente sulla questione è ormai unanime circa l’applicazione dell’istituto del contradditorio preventivo in tutte le ipotesi di accesso presso i locali del contribuente (per tutte Sezioni unite, sentenza 18184/2013), con la conseguenza che se l’ufficio non rispetta tale termine, e in assenza di ragioni di urgenza, l’atto impositivo emesso è invalido.

I dubbi restano per i controlli in ufficio (cosiddetti “a tavolino”).

Nella penultima sentenza delle Sezioni unite (19667/2014) sembrava essersi risolta la questione, poiché era stato chiaramente affermato il principio secondo cui, per tutte le attività di controllo, è obbligatorio un confronto preventivo pena la nullità dell’atto impositivo.

Con la sentenza 24823/2015, le Sezioni unite sono giunte, invece, a conclusioni differenti: non esiste nel nostro ordinamento un diritto al generalizzato al contradditorio preventivo, salvo non sia espressamente previsto per legge.

Si tratta, infatti, di un principio di derivazione comunitaria e pertanto applicabile solo ai tributi “armonizzati”, qual è l’Iva. A conferma di tale orientamento si segnala la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione (ordinanza 20849/2016) nella quale è stato precisato che se l’accertamento a tavolino riguarda l’Iva, l’ufficio deve svolgere il contradditorio preventivo, a nulla rilevando che non siano stati eseguiti accessi presso il contribuente.