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La Brexit crea un clima di incertezza per le imprese italiane e multinazionali stabilite nel Regno Unito, a causa dei cambiamenti che potrebbero emergere dagli accordi tra Regno Unito e Ue.

Con la Brexit si apre un lungo periodo di riflessione per le imprese italiane e multinazionali operanti nel Regno Unito, per decidere se confermare la propria presenza imprenditoriale in un territorio destinato a uscire, nell’arco di un biennio, dal perimetro comunitario, con tutte le conseguenze negative che questa uscita comporterà.

Al momento restano invariate tutte le regole vigenti prima del referendum del 23 giugno. Solo al termine del negoziato che sarà avviato da Gran Bretagna e Ue si potrà capire quali e quante barriere saranno costruite per rallentare la libera circolazione di capitali, persone e merci. È difficile prevedere quali saranno i risultati del negoziato; un modello già sperimentato è quello della Norvegia, che ha scelto di restare fuori dall’Ue, ma ha siglato un trattato con il quale viene agevolata la libera circolazione di personale, capitali e imprese da e con l’Europa. Tuttavia, questo modello è molto impegnativo politicamente, in quanto comporta l’accettazione di un ruolo guida dell’Ue anche dopo l’uscita del sistema comunitario.

Le materie che potrebbero essere investite dal cambiamento sono tutte quelle ispirate alle regole comunitarie. In particolare hanno un grande rilievo per le imprese i principi comunitari che uniformano le norme nazionali in tema di trasferimento d’azienda, secondo la direttiva 23 del 2001. Potrebbe, infine venir meno il diritto di stabilimento delle imprese e dei lavoratori, non solo subordinati ma anche autonomi, che potrebbero essere costretti a chiedere il visto d’ingresso e il permesso di lavoro nel territorio britannico, con una forte penalizzazione alla mobilità e all’iniziativa imprenditoriale.