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L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione del 5 agosto 2016, n.69/E, è intervenuta fornendo importanti chiarimenti circa l’applicazione del nuovo articolo 166-bis del TUIR.

Il Decreto Internazionalizzazione (D.Lgs. n. 147 del 14 settembre 2015), tra le varie novità introdotte nell’ordinamento giuridico italiano, ha previsto la modifica della disciplina relativa al trasferimento di un’impresa all’estero ed ha introdotto una specifica norma per regolare il trasferimento della sede di imprese estere in Italia, ovvero l’articolo 166-bis del TUIR.

Tale articolo prevede che la valorizzazione fiscale dei beni “in entrata”, a seguito del trasferimento della sede di imprese commerciali in Italia sia diversa a seconda che il Paese di provenienza della stessa sia incluso o meno nella cosiddetta White list.

Nel caso in cui il Paese di provenienza rientri nella White list, il valore fiscale delle attività e passività è sempre assunto in base al valore normale. Qualora lo Stato di provenienza, invece, non ne faccia parte, il valore fiscale è determinato secondo la regola sopra esposta in presenza di un accordo sottoscritto dal contribuente con l’Agenzia delle Entrate, tramite la procedura di ruling internazionale. In assenza di tale accordo, lo stesso valore è assunto in misura pari al minore tra il costo di acquisto, il valore di bilancio e quello normale (per le passività si adotta il maggiore tra i valori).

Successivamente l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con la risoluzione 5 agosto 2016, n. 69/E fornendo importanti chiarimenti circa l’applicazione dell’articolo 166-bis del TUIR ad una società italiana che ha incorporato una holding con sede in Lussemburgo.

L’Agenzia delle Entrate, in particolare, ha risposto a tre quesiti posti dal contribuente. Il primo riguardava l’applicazione dell’articolo 166-bis al caso di una società che nello Stato di provenienza non dispone di una vera e propria azienda funzionale all’esercizio di un’attività commerciale, ma si limita a detenere partecipazioni in altri soggetti, tra l’altro immobiliari. Secondo l’Agenzia delle Entrate, le società di capitali costituite in Stati membri dell’Ue rientrano fra “i soggetti che esercitano imprese commerciali”, cui fa riferimento l’articolo in questione, a prescindere dal tipo di attività esercitata in quanto ciò che conta è il conseguimento del reddito d’impresa individuato sulla base dei principi previsti dall’ordinamento domestico.

Il secondo verteva sulla possibilità di attuare il disposto dell’articolo 166-bis, al trasferimento in Italia della Holding lussemburghese, che ha la particolarità di avvenire tramite una fusione per incorporazione transfrontaliera. A tale domanda, l’Amministrazione finanziaria rispondeva ricordando che “la relazione illustrativa al decreto legislativo afferma che la nuova disciplina regolamenta il trasferimento della residenza nel territorio dello Stato non facendo alcun riferimento alle modalità con cui il soggetto si trasferisce nel nostro Paese. I lavori parlamentari confermano, quindi, che la norma intende regolare gli effetti che derivano dall’acquisizione della residenza fiscale in Italia, avendo riguardo soprattutto agli aspetti sostanziali, più che alle concrete modalità con cui avviene il trasferimento”. Per quanto concerne, infine, la terza questione posta, relativa al riconoscimento del valore normale anche ai beni della società incorporata che non sono più presenti in bilancio in quanto completamente ammortizzati o il cui valore è inferiore al fair value, l’Agenzia delle Entrate sostiene quanto segue: “…riconoscendo un valore fiscale di ingresso in Italia in misura pari al valore normale, ne ammette implicitamente la deducibilità in via extra-contabile nell’ipotesi in cui i valori di bilancio dovessero essere più bassi rispetto a quelli fiscali. Va da sé, che qualora i valori civilistici dovessero essere più elevati del valore normale, ai fini fiscali, rileverà quest’ultimo dato”.