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La Suprema Corte con una recente sentenza ha chiarito che il trasferimento della residenza anagrafica del contribuente, nel caso di specie nello Stato di San Marino, e la sua iscrizione all’AIRE non escludono l’assoggettabilità ad imposizione in Italia, laddove venga dimostrata la sussistenza in Italia del domicilio, in senso civilistico, del contribuente. I giudici di legittimità confermano, dunque, che l’iscrizione del cittadino italiano all’AIRE non può ritenersi elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorquando lo stesso cittadino conservi di fatto sul territorio italiano il proprio domicilio.

Nel caso di specie, la sussistenza del domicilio del contribuente era da individuare nel fatto che la sua famiglia abitava e risiedeva in detto domicilio, in Italia i suoi figli avevano frequentato gli studi, in San Marino il contribuente non possedeva alcuna civile abitazione, in Italia il contribuente possedeva diverse proprietà immobiliari e società, la sua casa di proprietà, a Fano, era stata assicurata come “dimora abituale”, etc. La Cassazione, del resto, ha già affermato che elementi presuntivi utili per individuare il domicilio sono “l’acquisto di beni immobili, la gestione di affari in contesti societari, la disponibilità di almeno un’abitazione nella quale trascorrere diversi periodi dell’anno” (Cass. n. 29576/2011), ovvero “l’intestazione presso una banca avente sede in Italia di conti correnti continuamente implementati” (Cass. n. 12259/2010).

A norma dell’art. 2 comma 2 del TUIR, per individuare le persone fisiche soggette alle imposte sui redditi occorre guardare, quindi, non solo all’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente, ma anche, in alternativa, al domicilio o alla residenza nel territorio dello Stato, secondo la nozione dell’art. 43 c.c. La sentenza in commento è del resto interessante anche laddove sottolinea che non è retroattiva la previsione di cui al comma 2-bis dell’art. 2 TUIR (Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori diversi da quelli individuati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale), che non è norma di natura processuale. Tale previsione, per gli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato, ha introdotto una presunzione legale in base alla quale, salvo prova contraria, si ritiene che il contribuente abbia trasferito la propria residenza in quel Paese al solo fine di godere di un trattamento fiscale a lui più favorevole.

La norma, quindi, si risolve in un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, al quale viene comunque consentito di dimostrare l’esistenza di fatti o atti che comprovino l’effettività della situazione dichiarata. Per quanto riguarda, in particolare, la prova contraria, secondo parte della dottrina tale prova sarebbe una prova negativa, essendo necessario dimostrare di non avere, in Italia, né l’iscrizione anagrafica, né la residenza, né il domicilio. Vero è però che tale prova negativa, esclusa l’iscrizione anagrafica (dato formale), sarebbe diabolica. Del resto, come dimostra anche la sentenza in commento, la prova della residenza fiscale, di fatto, risulta incentrata sul domicilio.

La prova contraria idonea a superare la presunzione legale di residenza in Itala, quindi, implica la ricostruzione attenta e completa del quadro degli interessi professionali, patrimoniali e personali del contribuente, comportando la necessità di una valutazione complessiva degli elementi di prova esistenti all’estero rispetto agli elementi presenti in Italia.

E dunque, una volta dimostrati, nel Paese estero fiscalmente privilegiato:

  • la sussistenza della dimora abituale;
  • l’iscrizione ed effettiva frequenza dei figli presso istituti scolastici;
  • lo svolgimento di un rapporto di lavoro, ovvero l’esercizio stabile di un’attività economica;
  • la stipula di contratti di acquisto e locazione di immobili residenziali;
  • le fatture o ricevute di erogazione di servizi di gas, telefono, luce etc.;
  • la movimentazione di somme di denaro;
  • l’iscrizione a liste elettorali,

la prova del domicilio in Italia (inteso come centro degli interessi vitali) potrebbe ritenersi integrata.

E se è vero che il domicilio non può essere contemporaneamente in più Paesi, si dimostrerebbe come la prova possa essere, in questi casi, senz’altro positiva.