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La sentenza n. 16813/2014 della Corte di Cassazione stabilisce che l’interpello “disapplicativo” (art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973) non costituisce un obbligo per il contribuente che intenda disapplicare la norma antielusiva. Ne consegue che la risposta all’interpello, fornita dall’Agenzia delle Entrate, vincola solo ed esclusivamente quest’ultima. Il contribuente è libero di decidere se attenersi o meno alla risposta fornita dall’Agenzia delle Entrate, oppure può anche disapplicare il precetto antielusivo senza presentazione di alcun interpello.

La Corte di Cassazione ha stabilito che “l’utilizzo di tale strumento non costituisce una via obbligata per il superamento della presunzione posta a carico del contribuente stesso dalle disposizioni anti-elusive”; in tal modo “al contribuente è sempre consentito fornire in giudizio la prova delle condizioni che consentono di superare la presunzione posta dalla legge a suo danno”.

Il discorso cambia con riguardo all’interpello “ordinario”, disciplinato dall’art. 11 della legge n. 212/2000, ovverosia quando l’istanza del contribuente viene ritenuta obbligatoria. L’obbligatorietà si evince dal dettato normativo di alcune disposizioni, le quali impiegano l’espressione “il contribuente deve interpellare preventivamente l’Amministrazione Finanziaria”. Quindi, l’interpello “ordinario” risulta obbligatorio nei casi in cui è la singola norma antielusiva che impone di ricorrervi, richiedendo la presentazione dell’istanza in maniera esplicita.

L’obbligatorietà o meno dell’interpello dipende dalle disposizioni indicate nelle norme antielusive; per alcune è previsto l’interpello “ordinario” obbligatorio, mentre per altre viene menzionato l’interpello “disapplicativo” come facoltativo.