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Come previsto dall’art. 8, comma 1, lett. b) del D.P.R. n. 633/72, costituiscono cessioni all’esportazione, non imponibili ai fini IVA, le cessioni di beni con trasporto/spedizione fuori dall’UE entro 90 giorni a cura dell’acquirente non residente (o di terzi, per suo conto).

La non imponibilità della cessione è collegata alla sussistenza delle seguenti condizioni:

  • l’acquirente deve essere un soggetto passivo non residente;
  • i beni devono essere esportati “nello stato originario”;
  • l’uscita dal territorio comunitario deve avvenire entro 90 giorni dalla consegna dei beni.

A tal fine va fatto riferimento alla data del documento di consegna/trasporto, della lettera di vettura internazionale (CMR) ovvero della fattura.

Poiché l’esportazione viene effettuata dal soggetto non residente, per il cedente italiano la prova dell’esportazione è costituita dalla fattura emessa al cliente (non residente) munita del timbro apposto dalla Dogana comprovante l’uscita dei beni dall’UE.

L’Agenzia delle Entrate ha ribadito che mancato rispetto del termine dei 90 giorni comporta la decadenza dal regime di non imponibilità per cui il cedente dovrà procedere alla regolarizzazione dell’operazione “con applicazione dell’imposta e conseguente versamento dell’IVA dovuta”.

Anche la Giurisprudenza nazionale ha affermato che il mancato rispetto del termine dei 90 giorni comporta l’impossibilità di applicare il predetto regime di non imponibilità. Infatti “tale termine deve considerarsi di natura perentoria, costituendo un requisito per l’applicazione di un regime, eccezionale, di non imponibilità”.

Il mancato rispetto di tale termine determina la riqualificazione dell’operazione quale cessione interna con conseguente assoggettamento ad imposta.

La questione è stata posta anche alla Corte di Giustizia UE la quale con la sentenza 19.12.2013, causa C-563/12, si è pronunciata in materia di termini decadenziali ai fini del perfezionamento dell’esportazione.

I Giudici comunitari hanno concluso che è da considerarsi illegittima “una normativa nazionale secondo la quale, nell’ambito di una cessione all’esportazione, i beni destinati ad essere esportati al di fuori dell’Unione europea devono aver lasciato il territorio dell’Unione europea entro un termine prestabilito di 3 mesi o 90 giorni successivi alla data della cessione, qualora il semplice superamento del termine abbia la conseguenza di privare definitivamente il soggetto passivo dell’esenzione [non imponibilità] con riguardo a tale cessione”.

La sentenza risulta pienamente applicabile alla normativa nazionale (art. 8, comma 1, lett. b, D.P.R. n. 633/72) con conseguente illegittimità del termine dei 90 giorni entro cui deve avvenire il trasferimento materiale dei beni fuori dall’UE oggetto dell’esportazione “impropria”, laddove l’operatore dimostri che i beni sono stati trasportati/spediti, sia pure oltre la scadenza del termine stabilito.

L’Agenzia delle Entrate dovrà “adeguarsi” all’interpretazione comunitaria e pertanto riconoscere il carattere non perentorio del termine fissato dalla lett. b) in esame, con conseguente non applicazione della suddetta sanzione/non versamento dell’imposta qualora il cedente nazionale disponga comunque della prova dell’uscita dei beni dal territorio dell’UE.

In alternativa l’Agenzia potrebbe “imporre” al cedente residente l’emissione di una nota di debito (della sola IVA) allo spirare del termine dei 90 giorni, consentendo allo stesso di emettere successivamente una nota di credito nel momento in cui dispone della “prova” di uscita dei beni dall’UE.