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Questione di rilevante interesse, alla luce degli ultimi interventi della Corte di Cassazione, è il trattamento del credito di rivalsa Iva spettante al cedente di beni o al prestatore di servizi nell’ambito del concordato preventivo, perché per questa procedura non esiste una disposizione analoga a quella prevista per il fallimento dall’art. 93, comma 3, punto 4) L.F..

La cassazione è intervenuta in un primo momento con la sentenza 12064/2013, con riferimento alla disciplina del concordato preventivo anteriore alla modifica dell’art. 160 L.F. di cui al D.Lgs.  169/2007 affermando che la mancanza nel compendio patrimoniale del debitore del bene gravato da privilegio non impedisce, a differenza del fallimento, l’esercizio del privilegio stesso, con la conseguenza che il credito va soddisfatto integralmente. In tal modo viene in ogni caso riconosciuto il privilegio speciale previsto dall’art. 2758, comma 2, c.c., a prescindere dall’esistenza o meno dei beni e ciò in considerazione della particolarità del privilegio stesso, quella di essere “una qualità del credito riconosciuta dall’ordinamento in ragione della sua causa.”.

La normativa riguardante il diritto di prelazione dei crediti privilegiati viaggia su due binari diversi fra fallimento e concordato preventivo. Mentre nel fallimento gli artt. 54 e 93 L.F. dispongono il pagamento integrale dei creditori privilegiati (ovvero per capitale, interessi e spese) a condizione essenziale che i beni sui quali grava il privilegio speciale siano compresi nell’attivo fallimentare, le norme che regolano il concordato preventivo, in particolare l’art. 169 L.F., non richiamano i predetti articoli. Da ciò deriva che la mancanza nel compendio patrimoniale del debitore del bene gravato da privilegio non impedisce, a differenza che nel fallimento, l’esercizio del privilegio stesso con il conseguente integrale soddisfacimento del credito (capitale, interessi e spese).

Nel dicembre 2013 la Corte di Cassazione ritorna nuovamente su questo punto con la sentenza 24970, precisando che quanto espresso nella precedente sentenza investe anche i concordati preventivi riformati dal D.Lgs. n. 169 del 2007, che ha introdotto la possibilità di un pagamento non integrale dei creditori privilegiati. In particolare la Cassazione ricorda che la regola generale del concordato rimane quella dell’integrale pagamento dei creditori privilegiati a meno che il piano non ne preveda il pagamento parziale, limitazione configurabile quale effetto di un “patto concordatario” ad hoc.

A livello operativo, l’orientamento della Corte di Cassazione porta ad un enorme impatto su tutti i concordati preventivi. Prima di tali interventi della Suprema Corte, il credito di rivalsa Iva veniva il più delle volte degradato a chirografo per mancanza dei beni sui quali esercitare il privilegio, escludendone così a priori la natura privilegiata all’esito delle verifiche comandate.

Oggi, diversamente, nei concordati preventivi vige la regola generale secondo cui per i creditori privilegiati è previsto l’integrale soddisfazione del loro credito, con la possibilità di prevedere una soddisfazione parziale soltanto in base ad un patto concordatario ex art. 160, comma 2, L.F., corredato da un’idonea relazione giurata predisposta da un professionista con i requisiti indicati dall’articolo 67, comma 3, lettera d), della legge fallimentare che costituisce una condizione di ammissibilità della proposta che preveda un trattamento non pienamente satisfattorio dei creditori privilegiati.

Da non trascurare l’impatto (più gravoso) sui concordati preventivi in corso in quanto i creditori potrebbero chiedere il riconoscimento del privilegio ex art. 2758, comma 2, c.c., con il grado VII dell’art. 2778 ai crediti derivanti dalla rivalsa IVA, originariamente collocati in chirografo.