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L’Ucifi è l’ufficio incaricato del compito di sperimentare la lotta all’evasione internazionale mediante la voluntary disclosure di attività economiche e finanziarie illecitamente detenute all’estero.

Tale procedura prevede che siano dovute tutte le imposte evase nei periodi ancora accertabili, tenendo conto del raddoppio dei termini nel caso in cui le attività siano detenute in paradisi fiscali, e dando carico al contribuente di dimostrare, esibendo la documentazione bancaria, l’origine dei fondi per superare la presunzione che i capitali non dichiarati siano formati con redditi non assoggettati a tassazione. In tal senso quindi, non sono previsti dei meccanismi di forfettizzazione delle imposte quali quelli già sperimentati in passato.

Inoltre, non verrà garantito l’anonimato. L’Amministrazione avrà la possibilità di monitorare anche in futuro l’impiego del denaro oggetto della disclosure.

Proprio l’Ucifi sta mettendo a punto la procedura che dovrà essere seguita dai contribuenti che non avendo più la possibilità o la convenienza a mantenere all’estero patrimoni o redditi esportati illegalmente e sui quali dunque sono state evase le imposte di competenza, vorranno regolarizzare le loro posizioni.

Sono state anticipati i passaggi chiave di questo procedimento: in una prima fase (intitolata “no name”) i professionisti, dopo aver effettuato le verifiche antiriciclaggio, saranno ammessi a chiedere chiarimenti preliminari all’Ucifi in modo da avere tutti gli elementi tecnici per consigliare i propri assistiti salvaguardandone l’anonimato (fino al momento nel quale si deciderà di firmare l’autodenuncia); nella seconda fase, l’Amministrazione Finanziaria valuterà la domanda alla luce di una serie di requisiti soggettivi e oggettivi. La “confessione” dovrà essere “tempestiva” (vale a dire la potranno esercitare solo coloro che non hanno ancora subito verifiche o ricevuto questionari), piena e veritiera. Il contribuente dovrà inoltre informare il Fisco di come intende gestire i capitali emersi ed anche questo sarà preso in considerazione nelle valutazioni che dovrà realizzare l’Amministrazione Finanziaria.

In cambio di tale collaborazione, il contribuente dovrà comunque pagare imposte e interessi su tutte le annualità accertabili e potrà avere uno sconto sulle sanzioni come previsto dall’articolo 7, comma 4 del decreto legislativo 472/97 (fino alla metà del minimo).

Per quale motivo chi non ha ritenuto di beneficiare dello scudo fiscale (con un costo che a seconda dei casi è stato del 5, 6 o 7% del valore delle attività rimpatriate), dovrebbe regolarizzare?

La risposta a tale domanda la si trova nell’evoluzione della normativa nazionale ed internazionale in materia di evasione transfrontaliera. Ad oggi, molti stati del mondo hanno aderito alla convenzione multilaterale sull’assistenza amministrativa in materia fiscale del 1988; a livello europeo oggi la collaborazione amministrativa in materia fiscale è stata rafforzata con la direttiva 2011/16/UE  del 15 febbraio 2011 e l’assistenza in materia di riscossione con la direttiva 2010/24/UE; alcuni paesi europei stanno dando vita ad un accordo per migliorare la compliance fiscale ed infine, motivo non meno importante, gli uffici dell’agenzia delle Entrate e i nuclei della Guardia di finanza specializzati in materia hanno più poteri di indagine.