Con la risposta a interpello 12.11.2018 n. 66, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti in merito al campo di applicazione dell’art. 30-ter del DPR 633/72, introdotto dalla L. 167/2017 (c.d. legge europea), che riconosce espressamente il diritto del soggetto passivo alla restituzione dell’imposta indebitamente versata.
L’art. 30-ter del DPR 633/72 stabilisce, al co. 1, che “il soggetto passivo presenta la domanda di restituzione dell’imposta non dovuta, a pena di decadenza, entro il termine di due anni dalla data del versamento della medesima ovvero, se successivo, dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione”.
La norma contempla per la prima volta espressamente all’interno del sistema IVA il diritto alla restituzione dell’indebito, che, in passato, veniva riconosciuto solo in ragione dell’applicazione (non sempre condivisa) dell’art. 21 del DLgs. 546/92, la cui formulazione coincide con quella del nuovo art. 30-ter co. 1 del DPR 633/72.
Il co. 2 dell’art. 30-ter del DPR 633/72 stabilisce che “nel caso di applicazione di un’imposta non dovuta ad una cessione di beni o ad una prestazione di servizi, accertata in via definitiva dall’Amministrazione finanziaria, la domanda di restituzione può essere presentata dal cedente o prestatore entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario o committente dell’importo pagato a titolo di rivalsa”.
Con la risposta a interpello 66/2018, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto che nel caso in cui il cessionario/committente abbia subito un accertamento per il recupero dell’IVA indebitamente detratta, ed abbia successivamente agito in restituzione nei confronti del cedente/prestatore, che nel frattempo ha versato l’ammontare IVA all’Erario in seno alle liquida-zioni periodiche, il cedente/prestatore può ripetere nei confronti dell’Erario quanto restituito privatamente al cessionario.
La restituzione dell’ammontare IVA avverrà, secondo l’Agenzia delle Entrate, solo attraverso la presentazione di una domanda ex art. 30-ter co. 2 del DPR 633/72. A tal fine, il cedente/prestatore dovrà restituire al cessionario/committente l’IVA (per l’ammontare pari all’imposta originariamente addebitata in rivalsa) e presentare la domanda all’Erario entro il termine di due anni dall’avvenuta restituzione al cessionario/committente.
Nella risposta ad interpello 12.11.2018 n. 66, l’Agenzia delle Entrate esclude, invece, che il cedente possa recuperare dall’Erario l’IVA restituita al cessionario/committente, mediante la detrazione compiuta in ragione della nota di variazione in aumento, ex art. 26 co. 1 del DPR 633/72, emessa dal cessionario/committente.
Nella risposta in commento, l’Agenzia non affronta il tema dei rapporti tra l’art. 30-ter co. 2 del DPR 633/72 ed il nuovo art. 6 co. 6 del DLgs. 471/97, ai sensi del quale “in caso di applicazione dell’imposta in misura superiore a quella effettiva, erroneamente assolta dal cedente o prestatore, fermo restando il diritto del cessionario o committente alla detrazione ai sensi degli articoli 19 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, l’anzidetto cessionario o committente è punito con la sanzione amministrativa compresa fra 250 euro e 10.000 euro”.
La nuova norma, che consente al cessionario la detrazione dell’IVA addebitata in eccesso con applicazione delle sanzioni in misura fissa, dovrebbe, però, rendere più agevole il recupero dell’IVA indebita, limitando in concreto il campo di applicazione dell’art. 30-ter del DPR 633/72.