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Nell’ambito della riforma relativa alla gestione della crisi d’impresa, vi sono ancora dubbi in merito all’individuazione del momento in cui il collegio sindacale deve attivarsi, nella denuncia delle crisi aziendali, in modo da non incorrere nelle responsabilità conseguenti alla propria inerzia.

La questione verrà affrontata e dovrebbe essere chiarita dai decreti di attuazione della legge delega per la riforma della disciplina di crisi ed insolvenza (legge 155/2017), la quale dovrebbe ricevere a breve una prima approvazione da parte del Consiglio dei ministri.

I diversi orientamenti giurisprudenziali hanno in comune il fatto che la responsabilità solidale del collegio sindacale, per inosservanza del dovere di vigilanza, non richiede l’individuazione di specifici inadempimenti. Il problema va affrontato in relazione alla situazione di crisi dell’impresa individuando le condizioni per cui le circostanze possono considerarsi sufficientemente evidenti e gravi da imporre all’organo di controllo diligente di attivarsi e contrastare tale fenomeno.

È senza dubbio certo che il collegio sindacale che tolleri l’occultamento delle reali perdite nei bilanci di esercizio, operato con evidenti artifizi contabili, impedendo così che emerga la reale erosione del patrimonio e si inneschi l’obbligo di ripianamento o cessazione della gestione, è solidalmente responsabile con gli amministratori per il danno generato dalla prosecuzione dell’attività. In questo caso il collegio avrebbe dovuto agire relazionando all’assemblea e rivolgendosi al tribunale in modo da denunciare le gravi irregolarità ed evitare l’ampliamento del dissesto attraverso il proprio intervento. L’inerzia costituisce dunque inadempimento ai propri obblighi di vigilanza e comporta la responsabilità per il danno prodottosi (Corte d’appello di Napoli del 3 luglio 2018, Tribunale di Roma del 9 febbraio 2018).

Il Tribunale di Roma si è pronunciato anche in merito a una diversa situazione a fine 2017: in seguito all’emersione di chiari sintomi di crisi, il collegio ha assistito alla predisposizione di un piano di rilancio che nei mesi successivi, tuttavia, è fallito per la mancata adesione degli investitori interpellati. Il debitore rilevava la crisi e depositava domanda di concordato preventivo; secondo il Tribunale di Roma, amministratori e sindaci sono solidalmente responsabili per gli oneri finanziari maturati in quel periodo – circa sei mesi – che l’accesso a una procedura concorsuale avrebbe sterilizzato.

Ogni tentativo di soluzione alle situazioni di crisi andrebbe pianificato attraverso l’utilizzo di uno degli strumenti offerti dalla legge fallimentare per cui diverrebbe obbligo dell’organo di controllo attivarsi immediatamente richiedendone il ricorso, indipendentemente dalla presenza di piani di risanamento anche ragionevoli, ma mai certi.

Tutte le versioni sino ad oggi circolate prevedono che l’attivazione dell’organo di controllo al manifestarsi di precisi sintomi di crisi ne sterilizzi la responsabilità. Tuttavia ci si attende che vengano chiarite, attraverso i decreti attuativi della legge delega 155/2017, tali condizioni di crisi e la loro individuazione.