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Le azioni di responsabilità verso amministratori e sindaci sono possibili per creditori e terzi, unitamente alle società, anche nelle procedure di concordato preventivo: tuttavia, è importante curarne con attenzione la qualificazione giuridica e le motivazioni.

Il tribunale di Catanzaro si è pronunciato con la sentenza del 28 marzo scorso sulla richiesta di risarcimento di un creditore, basata sull’art. 2394 del Codice civile, il quale si riteneva danneggiato dalla condotta degli organi di gestione e di controllo, colpevoli di aver occultato perdite e di conseguenza l’erosione del patrimonio, nei bilanci prodotti sino all’imminenza dell’accesso alla procedura. In questo modo è stato impedito al creditore di cogliere la gravità della situazione. Nella sentenza viene ribadito che, secondo l’art. 184 della legge fallimentare, gli effetti dell’omologa del concordato non impediscono l’esercizio di azioni di responsabilità rivolte a soggetti diversi dal debitore. Inoltre il Tribunale di Catanzaro chiarisce che nella domanda è cruciale distinguere se la responsabilità degli amministratori (ed eventualmente in solido dei sindaci) sia evocata in riferimento a una condotta che ha danneggiato la generalità dei creditori andando a causare l’insufficienza del patrimonio oppure in merito a uno o più atti che abbiano prodotto diretto pregiudizio nei confronti di un particolare soggetto, socio o terzo.

L’estensione obbligatoria dei termini della proposta omologata a tutti i creditori, e l’esdebitazione che ne consegue (in forza del pacto de non petendo che origina dal concordato) non impediscono al creditore danneggiato di agire nei confronti di un soggetto diverso dal debitore e del tutto estraneo all’accordo, e cioè del suo organo amministrativo e, in via sussidiaria, di controllo. L’articolo 184 della legge fallimentare prevede, inoltre, nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso e quindi anche per amministratori e sindaci, essendoci i presupposti, che la falcidia imposta dalla proposta concordataria omologata non incide sulla qualifica dei creditore e sulla consistenza del loro credito.

Il Tribunale di Catanzaro esclude, sulla base di un orientamento consolidato (Cassazione, 13765/2007), la natura surrogatoria dell’azione di responsabilità dei creditori rispetto a quella sociale (art. 2393 del Codice civile), ribadendone l’autonomia sia nei presupposti sia nel regime giuridico dell’onere della prova e della prescrizione. In sostanza quindi l’azione risarcitoria del creditore non lede la par condicio, posto che la gerarchia delle prelazioni regola il concorso sul patrimonio del debitore, non gli effetti dell’azione condotta dal singolo creditore danneggiato verso gli amministratori, soggetto diverso dal debitore e sprovvisto del diritto di agire in regresso nei confronti della società.

Il punto delicato della questione è la distinzione tra le due azioni, quella del creditore (articolo 2394 del Codice Civile) e quella del socio o terzo (articolo 2395 del Codice civile), in base ai diversi presupposti che le consentono. Sono entrambe di natura extracontrattuale, presuppongono il comportamento doloso, quindi intenzionale, o colposo, invece contraddistinto da negligenza, imprudenza o imperizia, da parte degli amministratori. Per quanto riguarda l’azione di responsabilità del creditore, l’inadempimento dell’amministratore deve aver portato all’insufficienza del patrimonio alla soddisfazione del credito, di modo che ciascun creditore danneggiato potrà insinuarsi esercitando l’azione. Invece, nel caso disciplinato dall’articolo 2395 del Codice civile riguardante l’iniziativa del terzo, l’amministratore deve aver compiuto un atto suscettibile di cagionare direttamente pregiudizio ad un soggetto, non alla generalità. Tale atto può consistere nella produzione di bilanci di esercizio artefatti, dai quali il terzo può desumere una solidità patrimoniale inesistente, e su di essa basare le proprie decisioni, ma resta tuttavia a carico dell’attore l’onere di provare, oltre al danno, anche il nesso causale tra la falsità del bilancio e la decisione conseguente. Il creditore dovrà rigorosamente dedurre circostanze e avvenimenti che lo hanno tratto in inganno, e che non avrebbero potuto essere percepiti con l’utilizzo della diligenza minima necessaria.

Nel caso di specie su cui il Tribunale di Catanzaro si è pronunciato, emerge, oltre ad un difetto di qualificazione della richiesta, che la decisione del fornitore era stata presa prima dell’approvazione del bilancio incriminato, il quale conteneva diversi riferimenti nella relazione sulla gestione e nel parere dei revisori legali, alle difficoltà e alle carenti condizioni di continuità, cosicché il nesso di causalità sembrava debole.