La Suprema Corte si esprime sui benefici fiscali spettanti alle subholding passive ubicate in Stati UE, controllate da imprese extra-Ue, che ricevono dividendi da società operative italiane.
Recentemente la Cassazione si è espressa sui riflessi fiscali relativi a subholding passive localizzate in Stati appartenenti all’Unione Europea, controllare da imprese extra-Ue, che percepiscono dividendi da società con sede operativa in Italia.
Il nodo della questione riguarda la qualifica di beneficiario effettivo del soggetto percipiente (subholding passiva); qualifica spesso disconosciuta dall’Amministrazione finanziaria che invece configura tali entità come società conduit.
Il caso sottoposto al giudizio della Corte è quello di una holding passiva residente in Francia e partecipata al 100% da una capogruppo americana che aveva chiesto l’applicazione della convenzione italo-francese per i dividendi provenienti dall’Italia.
Per i giudici di merito, in capo al soggetto francese non sussistevano le condizioni per qualificarlo come beneficiario effettivo, in quanto:
- la holding faceva parte di un gruppo societario che presentava una “struttura di controllo a cascata”;
- la holding era priva di una “ significativa struttura organizzativa”, presentando una struttura “leggera”, circostanza emersa dall’esame di alcune voci del relativo bilancio di esercizio, in particolare dalla consistenza dei “crediti operativi” in relazione al valore contabile delle partecipazioni detenute; dall’assenza di costi del lavoro e di proventi generati dall’addebito alla società italiana di corrispettivi per lo svolgimento di servizi gestionali in suo favore.
Secondo i giudici di merito e l’Agenzia delle Entrate, la società era stata quindi costituita con il solo fine di ottenere i vantaggi fiscali previsti dalla Convenzione e, in quanto tale era da ritenersi una società di comodo.
La Cassazione dava invece ragione al contribuente escludendo, ai fini della qualificazione di beneficiario effettivo, la rilevanza del tipo di articolazione societaria e dunque non dando alcun rilievo al fatto che la holding sia interamente partecipata da un unico socio e riconoscendo inoltre che per individuare il beneficiario effettivo, occorre prendere in considerazione anche la peculiarità dell’oggetto e della natura della società madre percipiente dei dividendi. Per i giudici della Suprema Corte pertanto è “normale” per una holding che svolge la sola attività di detenzione di partecipazioni in società operative possedere una struttura leggera; tale caratteristica però non significa necessariamente che la società debba essere considerata una entità fittizia interposta.
Si ricorda, infine, che per la Cassazione ciò che rileva ai fini della corretta interpretazione della nozione di beneficiario effettivo è che il soggetto percettore possa disporre giuridicamente ed economicamente del dividendo percepito. Per i giudici della Suprema Corte, quindi è da intendersi beneficiario effettivo il soggetto in base “al quale sia attribuito l’uso ed il godimento dei dividendi oggetto di tassazione, in relazione ai quali esso si ponga come destinatario finale, e non come semplice intermediario, agente o fiduciario”.