Il titolo d’ingresso delle merci nel deposito Iva è determinante nel caso di estrazione dei beni per finalità di commercializzazione o utilizzo in Italia.
Le nuove regole in materia di depositi Iva, introdotte dal Dl. 193/2016, sono intervenute in modo rilevante nella disciplina dell’immissione in consumo dei beni tramite estrazione dal relativo deposito.
La nuova normativa sui depositi Iva ha previsto che in caso di estrazione dei beni ai fini di commercializzazione o utilizzo in Italia, ad essere rilevante è il titolo in forza del quale i beni sono entrati in deposito.
La prima ipotesi concerne le merci nazionali, vale a dire quelle che si trovano già nel territorio dello Stato nel momento in cui fanno il loro ingresso nel deposito Iva. Tale ipotesi, a seguito dell’abrogazione della lettera d, del comma 4, dell’articolo 50-bis del Dl. 331/1993, è ora ammessa per tutte le tipologie di beni che costituiscono oggetto di cessione a soggetti nazionali o esteri, anche con posizione Iva in Italia. In tal caso, l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione della merce ed è versata in nome e per conto di quest’ultimo dal gestore del deposito, che peraltro è solidalmente responsabile dell’imposta stessa.
In questa fattispecie, il pagamento dell’imposta deve essere effettuato entro il 16 del mese successivo a quello di estrazione attraverso un versamento diretto con modello F24. L’imposta in questione non può essere assolta tramite compensazione “orizzontale” di cui all’articolo 17, D.Lgs. n. 241/1997; tuttavia è possibile per il contribuente, dotato dello status di esportatore abituale, procedere all’utilizzo del plafond, come indicato nella Risoluzione 35/E/2017.
Una seconda ipotesi riguarda l’estrazione di beni che siano stati acquisiti, chiunque sia il cedente, nel corso della giacenza all’interno del deposito. Anche in tale situazione il versamento dell’imposta è obbligatorio sulla base del dato letterale della norma. La disposizione in questione prevede che le merci siano estratte applicando il meccanismo del reverse charge qualora:
- le stesse siano introdotte a seguito di un acquisto intracomunitario;
- le stesse siano introdotte con immissione in libera pratica.
Nell’ipotesi, di acquisto intracomunitario il soggetto che procede all’estrazione dei beni adempie all’obbligo di assolvimento dell’imposta attraverso l’integrazione della fattura relativa all’acquisto intracomunitario, con l’indicazione dei servizi eventualmente resi e dell’imposta. È lecito ritenere che tale procedura sia riservata soltanto al cessionario che ha effettuato l’acquisto intracomunitario e non ai successivi operatori che acquistano i beni nel momento in cui si trovano già custoditi in deposito. Lo stesso meccanismo si applica nel caso in cui le merci costituiscano oggetto di un contratto di consignment stock in deposito Iva, secondo cui l’acquisto intracomunitario si perfeziona solo al momento dell’estrazione.
L’ultimo caso riguarda i beni di provenienza extra–Ue immessi in libera pratica e introdotti in deposito. In tale ipotesi l’imposta è dovuta dal soggetto che procede all’estrazione della merce mediante autofattura, a condizione che colui che estrae i beni presti un’apposita garanzia, prevista dal Decreto Ministeriale n. 37/2017. Tale garanzia non è necessaria qualora il soggetto “estrattore” rispetti i requisiti di “affidabilità” di cui all’articolo 2, Decreto Ministeriale 23 Febbraio 2017, da documentare con apposita dichiarazione sostitutiva di atto notorio, valida per l’intero anno solare di presentazione.
Si ricorda che sono considerati comunque “affidabili” ex lege gli operatori economici autorizzati (Aeo), i soggetti ex articolo 90 DPR 43/1973 e coloro che hanno immesso in libera pratica le merci.