La legge fallimentare attualmente è una sorta di “cantiere aperto” in cui con cadenza più o meno annuale e con riferimento ai vari cambi di governo si innestano delle variazioni, nel tentativo, invero non sempre felicemente riuscito, di offrire ai magistrati, alle imprese ed agli operatori in genere uno strumento efficace per affrontare la crisi.
Con il decreto legge n. 69 del 21 giugno 2013 è stata introdotta l’ennesima “mini- riforma” della legge fallimentare. Le novità riguardano il c.d. concordato in bianco, ex art. 161 sesto comma L.F.; con l’intento di porre un freno ad un possibile abuso nella presentazione di domande di concordato preventivo in bianco con scopi meramente dilatori, la norma prevede regole più stringenti in questa fase, ossia (in grassetto le novità):
– alla domanda va allegato oltre ai bilanci degli ultimi tre esercizi, anche (e qui sta una delle novità) l’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti;
– il Tribunale può inoltre nominare sin dalla fase della domanda in bianco il commissario giudiziale di cui all’articolo 163, secondo comma, n. 3, e si applica l’articolo 170, secondo comma (messa a disposizione delle scritture contabili);
– il commissario giudiziale, quando accerta che il debitore ha posto in essere una delle condotte previste dall’articolo 173, deve riferirne immediatamente al Tribunale che, nelle forme del procedimento di cui all’articolo 15 e verificata la sussistenza delle condotte stesse, può, con decreto, dichiarare improcedibile la domanda e, su istanza del creditore o su richiesta del pubblico ministero, accertati i presupposti di cui agli articoli 1 e 5, dichiara il fallimento del debitore;
– dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di cui all’articolo 163 il debitore può compiere gli atti urgenti di straordinaria amministrazione previa autorizzazione del tribunale, il quale può assumere sommarie informazioni e deve acquisire il parere del commissario giudiziale, se nominato;
– con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo, il Tribunale deve disporre gli obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa e all’attività compiuta ai fini della predisposizione della proposta e del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale se nominato, sino alla scadenza del termine fissato. Il debitore, con periodicità mensile, deposita una situazione finanziaria dell’impresa che, entro il giorno successivo, è pubblicata nel registro delle imprese a cura del cancelliere. In caso di violazione di tali obblighi, si applica l’articolo 162, commi secondo e terzo. Quando risulta che l’attività compiuta dal debitore è manifestamente inidonea alla predisposizione della proposta e del piano, il Tribunale, anche d’ufficio, sentito il debitore e il commissario giudiziale se nominato, abbrevia il termine fissato con il decreto di cui al sesto comma, primo periodo. Il tribunale può in ogni momento sentire i creditori.
In sede di conversione del decreto legge del fare sono già state annunciate ulteriori modifiche alla Legge fallimentare, con particolare riferimento alla procedura di concordato preventivo.
Quindi se da un lato la legge fallimentare italiana, emanata sotto forma di Regio Decreto risalente al 1942, per oltre 60 anni è rimasta pressoché immutata, a decorrere dal 2005 si è assistito a continui interventi di correzione/riforma, interventi che però sono stati attuati sull’impianto originario di un testo normativo per certi versi superato.
Possiamo pertanto dire che la legge fallimentare attualmente è una sorta di “cantiere aperto” in cui con cadenza più o meno annuale e con riferimento ai vari cambi di governo si innestano delle variazioni, nel tentativo, invero non sempre felicemente riuscito, di offrire ai magistrati, alle imprese ed agli operatori in genere uno strumento efficace per affrontare la crisi.
Tali modifiche sono state apportate attraverso decreti che portano appellativi incoraggianti, quali il decreto sulla “competitività”, il decreto sulla “crescita”, il decreto del “fare”…
La ratio di fondo della riforma avviata nel 2005 è volta alla conservazione del valore aziendale, favorendo soluzioni che consentano di mantenere in vita l’azienda rispetto a quelle che portano alla liquidazione disgregata dei beni.
Al tempo stesso si è ritenuto che una sorta di gestione privatistica della crisi d’impresa fosse più celere offrendo procedure alternative per la risoluzione preventiva e stragiudiziale, quali gli accordi di ristrutturazione dei debiti ed i piani attestati di risanamento. Nel fallimento si è attribuito un ruolo sostanziale al Comitato dei creditori, attribuendo a tale organo funzioni autorizzatorie e di vigilanza sostanziale, in precedenza inesistenti.
Il concordato preventivo è diventato lo strumento centrale per favorire l’emersione della crisi e la continuazione dell’attività d’impresa.
Si sono poi introdotti strumenti idonei a favorire l’utilizzo dei nuovi istituti, quali la prededucibilità per i finanziamenti erogati in attuazione dei concordati preventivi ovvero di accordi ristrutturazione dei debiti e per i finanziamenti?ponte concessi ed erogati nella fase delle trattative o l’esenzione dai reati di bancarotta per i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione del concordato preventivo, degli accordi di ristrutturazione dei debiti e dei piani attestati di cui all’art. 67 lett. d).
A decorrere dall’11 settembre 2012 è entrata in vigore la normativa che ha disciplinato, tra l’altro, i concordati c.d. “in bianco”, attraverso cui l’imprenditore in crisi può depositare l’istanza di concordato preventivo riservandosi di allegare il piano e la proposta in un momento successivo entro il termine fissato dal giudice che, tenuto conto delle proroghe, non può superare i 180 giorni. Lo scopo della norma è stato quello di anticipare gli effetti protettivi del patrimonio dell’impresa in crisi prima ancora che siano elaborati il piano e la domanda, documenti che, soprattutto nelle situazioni più complesse, possono richiedere vari mesi di lavoro.
Di fatto la presentazione di una domanda in bianco si può prestare a possibili abusi e quindi la recente riforma, entrata in vigore il 22 giugno 2013, ha posto i correttivi all’istituto del concordato “in bianco” sul piano sia degli obblighi informativi, più stringenti, sia dei controlli da parte del Tribunale, a cui viene attribuita la possibilità di nominare immediatamente il commissario giudiziale.
Nel complesso, di fronte a questo “cantiere aperto”, restano difficoltà oltre che interpretative anche attuative quali l’eccessiva lunghezza delle procedure fallimentari, ruolo del Comitato dei creditori che si è rivelato un organo di scarsa efficienza, i tempi talvolta biblici per eseguire i riparti a favore dei creditori, l’effettiva capacità dei concordati preventivi nella fase esecutiva di offrire delle soluzioni migliori ai creditori rispetto alle procedure fallimentari, la difficoltà di definizione degli accordi preventivi di risanamento con “tavoli” di trattativa che restano aperti con tempi non compatibili rispetto alla stessa sopravvivenza dell’impresa.
Il problema di fondo è che spesso si arriva troppo tardi ad affrontare la crisi e quindi qualsiasi intervento si rivela inadeguato; in effetti sono necessari degli strumenti di prevenzione e di allerta che consentano l’emersione della crisi d’impresa prima che essa assuma dei connotati talmente gravi da rendere la prosecuzione dell’attività praticamente impossibile. La partecipazione dei soggetti interni alla società (soci, revisori, sindaci, rappresentanze sindacali…) ed esterni (Enti di Riscossione, Agenzia entrate, Inps, Inail …), accanto all’intervento del Giudice, possono costituire dei validi strumenti per evitare che si arrivi allo stato di insolvenza.
Riccardo Bonivento