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Ai fini dell’imposta sulle successioni, le opere d’arte che non costituiscono beni vincolati (le quali sono esenti ai sensi dell’art. 13 del DLgs. 346/90) rientrano nell’attivo ereditario: il loro trattamento fiscale può però ricadere in diverse discipline.

È opportuno innanzitutto distinguere le opere destinate all’uso e all’ornamento dell’abitazione da quelle che invece ne sono estranee. Solo le prime sono considerate mobilia e si presumono (ai sensi dell’art. 9 del DLgs. 346/90) comprese nell’attivo ereditario per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse. Le seconde devono invece essere indicate analiticamente in dichiarazione di successione, al pari di qualsiasi altro bene, scontando così l’imposta ordinaria sul valore di mercato.

Nessun problema si pone in riferimento a quei beni che al momento dell’apertura della successione si trovano fisicamente nelle abitazioni del de cuius, le quali ricadranno nella citata definizione di mobilia. Controverso appare il trattamento di quei beni che, pur stabilmente custoditi tra le mura domestiche, si trovano temporaneamente al di fuori di esse. È il caso ad esempio di quelle opere, talvolta anche in gruppi, che si trovano provvisoriamente presenti in un museo, in occasione di mostre temporanee o in prestito a collezioni permanenti.

L’interpretazione letterale della norma impone di considerare l’aspetto finalistico (dell’uso o dell’ornamento) che deve quindi prevalere sulla mera situazione di fatto al momento dell’apertura della successione. Sarebbe quindi riduttivo e giuridicamente inesatto limitarsi a verificare l’ubicazione dei beni al momento dell’apertura della successione per classificarli.

Si pensi al caso di un’opera che sia stata affissa per anni a una parete del soggiorno, poi prestata temporaneamente a un museo, ma caduta in successione proprio quando questa era esposta nel museo. In questo caso non potrà certo negarsi che quell’opera fosse ancora destinata all’ornamento dell’abitazione, facendo rientrare nel novero dei mezzi di prova l’impronta lasciata sulle pareti di casa.

Pare dunque che, anche nella prospettiva dello Statuto del contribuente, volta alla collaborazione con l’Amministrazione finanziaria, non si possa prescindere da una valutazione “caso per caso”, diretta ad analizzare da un lato lo status effettivo delle opere d’arte e dall’altro lato l’animus del de cuius, invece che dare acriticamente effetto all’ubicazione provvisoria nel giorno della scomparsa del collezionista.

Sotto il secondo profilo, dopo aver delimitato il perimetro della “collezione familiare”, occorre valutare quale sia la portata di applicazione della presunzione di cui all’art. 9. La stessa norma stabilisce che tale presunzione sia vincibile dal contribuente mediante la presentazione di un inventario analitico (a norma degli artt. 769 c.p.c. e ss.), in mancanza del quale il contribuente si vedrà applicare automaticamente la maggiorazione dell’asse ereditario.

In questo scenario i soli casi possibili in base alla norma, in mancanza di inventario, sono:

  • mancata indicazione in successione di un valore per la mobilia;
  • indicazione di un valore inferiore a quello presunto;
  • indicazione di un valore superiore a quello presunto.

Gli ultimi due casi hanno conseguenze ben definite: l’Agenzia integrerà il valore imponibile al 10% dell’asse oppure tasserà l’importo dichiarato. Nel caso di mancata indicazione del valore della mobilia, l’imponibile potrà essere “solo” quello derivante dalla presunzione legale del 10% quale che sia il valore effettivo della mobilia presente nell’asse. Non è accertabile da parte dell’Ufficio un valore superiore a quello stabilito dalla norma.

In conclusione, emerge la doppia natura della presunzione prevista nella norma: legale per l’Amministrazione finanziaria piuttosto che relativa, in questo caso in favor, per il contribuente che rediga l’inventario analitico nel rispetto delle forme prescritte dalla legge.